C’è un modo di fare musica che viene dall’anima e dalle sue santissime ragioni.

C’è un modo di fare musica che vive in assoluta autonomia, dal tempo, dal gusto dominante, dai contesti.

C’è un modo di fare musica che porta il gesto compositivo al suo estremo compimento, quasi fino a negare se stesso, per abitare a metà tra il sogno e il bisogno espressivo.

C’è un modo di porgere musica che stabilisce un gioco chiaro tra le parti ed avvicina l’ascoltatore al suonatore attraverso una sorta di fiducia reciproca che nasce nel momento esecutivo e si rafforza grazie ad una socializzazione pensata del linguaggio musicale.

C’è un modo di ascoltare musica che rende sazi, perché ogni tocco viene percepito come autentico e pieno di significato, così come è stato generato.

C’è un luogo in cui tutto questo fiorisce e diventa bellezza e condivisione quotidiana, lotta necessaria ad un’idea di gusto inteso come piacere immediato e ad un’idea di pubblico inteso come indice supremo di valore estetico.

C’è un luogo in cui suonare coincide con essere.

E’ una casa senza destinazione d’uso. Come togliere alla musica pretese che esulano dalla sua stessa natura. Per restituirle senso, dignità, vigore, libertà.

 

Paola Petrosillo